‘Permesso di soggiorno’ per motivi di volontariato: come valutare le risorse a disposizione della persona

Necessario un esame specifico del caso, che deve limitarsi, però, alla verifica che la persona interessata sia in grado di disporre di risorse sufficienti

‘Permesso di soggiorno’ per motivi di volontariato: come valutare le risorse a disposizione della persona

‘Permesso di soggiorno’ per motivi di volontariato: nell’Unione Europea uno Stato membro non può imporre condizioni supplementari per quanto riguarda la prova dell’esistenza di risorse sufficienti per lo straniero.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza del 13 novembre 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), chiamati a prendere in esame il caso di un uomo che, cittadino di un Paese terzo, nel giugno del 2020, ha presentato una domanda di rinnovo del suo ‘permesso di soggiorno’ in Ungheria, desiderando svolgere in tale Paese un’attività di volontariato presso la ‘Associazione Mahatma Gandhi per i Diritti dell’Uomo’.
Nello specifico, l’uomo ha indicato che suo zio, cittadino britannico, gli avrebbe garantito le risorse necessarie durante il periodo del volontariato, e, nel corso del procedimento amministrativo, ha qualificato tale aiuto finanziario, fornito dallo zio, ora come prestito, ora come atto di liberalità.
Ciò nonostante, l’Ungheria ha respinto la domanda, in quanto lo zio dell’uomo non poteva essere considerato un suo familiare, alla luce del diritto nazionale.
Di diverso avviso, però, i giudici ungheresi, i quali hanno accolto le obiezioni sollevate dall’uomo, ritenendo che i mezzi di sostentamento di cui deve disporre il richiedente il ‘permesso di soggiorno’ possano provenire da redditi o da beni patrimoniali legalmente acquisiti, indipendentemente dal fatto che si tratti di redditi propri o di redditi messi a sua disposizione da un familiare.
Visione, questa, smentita dai giudici supremi ungheresi, per i quali, anche se le risorse necessarie possono essere fornite da una persona che non è un familiare, è necessario stabilire se si tratta di un reddito o di un bene patrimoniale nonché precisare a quale titolo queste risorse sono state ricevute e se è possibile averne la disponibilità illimitata e definitiva, come se si trattasse di fondi propri.
A fronte di tali contrastanti valutazioni, si è rivelata necessaria una presa di posizione dei giudici europei, i quali ricordano, in primo luogo, che il cittadino di un Paese terzo che abbia presentato una domanda di ammissione nel territorio di uno Stato membro ha diritto a un ‘permesso di soggiorno’ se soddisfa le condizioni generali e specifiche della direttiva sull’ingresso e il soggiorno nell’Unione Europea dei cittadini di Paesi terzi, per motivi, tra l’altro, di volontariato. Pertanto, non è consentito agli Stati membri introdurre condizioni supplementari, che si aggiungano a quelle previste dalla direttiva. In secondo luogo, la nozione di ‘risorse’ deve essere intesa, secondo i giudici, come una nozione autonoma del diritto dell’Unione Europea, interpretata in modo uniforme, e di portata ampia.
La valutazione del carattere sufficiente delle risorse si basa su un esame specifico del caso, che deve limitarsi alla verifica che la persona interessata sia in grado di disporne. Altri criteri specifici, in particolare riguardanti la natura e la provenienza di tali risorse o le modalità secondo le quali tale persona ne dispone, costituirebbero condizioni supplementari vietate.
Per quanto attiene alla constatazione di incongruenze nelle dichiarazioni relative alle risorse di cui disporrà il cittadino di un Paese terzo, essa non può bastare per giustificare il diniego del titolo di soggiorno quando dall’esame specifico del caso risulta che egli disporrà effettivamente di risorse sufficienti.

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