Legittima la presenza nell’accordo sia di una condizione sospensiva che di una condizione risolutiva
In sostanza, le due clausole rispondono a funzioni distinte: la prima consente il dispiegarsi dell’efficacia contrattuale, la seconda preserva il contratto nell’ambito degli interessi delle parti fintantoché permangono le condizioni originariamente considerate essenziali

In materia contrattuale non vi è contraddizione logica tra la presenza, nell’accordo, di una condizione sospensiva, destinata a conferire efficacia al contratto, e il simultaneo mantenimento di una condizione risolutiva. Ciò perché le due clausole rispondono a funzioni distinte: la prima consente il dispiegarsi dell’efficacia contrattuale, la seconda preserva il contratto nell’ambito degli interessi delle parti fintantoché permangono le condizioni originariamente considerate essenziali. Questi i punti fermi fissati dai giudici (sentenza numero 1761 del 24 gennaio 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo ad un complesso accordo che includeva, tra l’altro, un preliminare di compravendita di bene futuro per l’acquisto di due edifici da costruire, aggiungono che il comportamento tenuto da una parte e consistente nell’adesione alla proroga dei termini sospensivi dell’efficacia del contratto può essere ricondotto al dovere di buonafede, volto a preservare gli interessi della controparte nei limiti di un sacrificio dell’interesse proprio ragionevolmente esigibile, senza che ciò comporti rinuncia alla facoltà di avvalersi della condizione risolutiva al suo verificarsi. Ampliando l’orizzonte, i giudici ribadiscono che valersi dell’avverarsi della condizione risolutiva non è logicamente incompatibile con la pregressa concessione di proroghe in attesa dell’avveramento della condizione sospensiva. Anzi, nella vicenda in esame, il comportamento della società, consistente nell’adesione alla proroga dei termini sospensivi dell’efficacia del contratto, può essere ricondotto al contenuto normativo secondo cui colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buonafede per conservare integre le ragioni dell’altra parte. Ne discende un dovere di buonafede, volto a preservare gli interessi della controparte nei limiti di un sacrificio dell’interesse proprio ragionevolmente esigibile. Nel caso specifico, si trattava della salvaguardia della possibilità di ottenere tardivamente i titoli abilitativi, il cui rilascio era stato ritardato dalle richieste di emendamenti formulate dal Comune. L’avveramento della condizione risolutiva, invece, implica il venir meno dell’interesse della parte contrattuale, allorquando un elemento che le parti avevano considerato essenziale nel sinallagma negoziale risulti irrealizzabile, determinando così la caduta dell’interesse della controparte a mantenere in vita il contratto, sia esso ancora sottoposto a condizione sospensiva, sia esso già efficace. La condizione risolutiva, quindi, tutela un interesse riconosciuto da entrambe le parti come determinante, al punto da rendere inefficace il contratto al suo verificarsi. Non può condividersi pertanto l’assunto secondo cui sussisterebbe una contraddizione tra la presenza di una condizione sospensiva, destinata a conferire efficacia al contratto, e il simultaneo mantenimento di una condizione risolutiva. Le due clausole rispondono, infatti, a funzioni distinte: la prima consente il dispiegarsi dell’efficacia contrattuale, la seconda preserva il contratto nell’ambito degli interessi delle parti, fintantoché permangono le condizioni originariamente considerate essenziali.