Assegno divorzile all’ex coniuge anche se non ha mai abbandonato l’attività professionale
Necessaria però la dimostrazione che la divisione dei compiti familiari abbia comunque comportato una riduzione dell’impegno lavorativo
Assegno divorzile possibile anche se il coniuge più debole economicamente non ha mai abbandonato completamente l’attività professionale. Questa la prospettiva tracciata dai giudici (ordinanza numero 30179 del 15 novembre 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame l’ennesimo contenzioso tra coniugi, aggiungono che è necessaria però la dimostrazione che la divisione dei compiti familiari abbia comportato una riduzione dell’impegno lavorativo e delle prospettive reddituali in favore della cura della famiglia e del contributo alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge, ora più forte dal punto di vista economico.
Fondamentali, nella vicenda in esame, alcuni dettagli, ossia: la disparità notevole delle condizioni economiche dei due coniugi; la riconducibilità di tale disparità a scelte condivise circa la divisione dei compiti di cura ed accudimento cha hanno visto l’uomo del tutto assente, anche fisicamente, e per lunghi periodi dalla casa familiare (fatto che aveva avuto pesanti ripercussione sull’equilibrio psico-affettivo del figlio, che aveva dovuto ricorrere a psicoterapia di sostegno); la obiettiva modestia dell’impegno professionale (e dei relativi redditi) della donna in cui si era tradotta la divisione dei compiti tra i due coniugi.
Irrilevante, pertanto, che la donna non abbia mai abbandonato la sua attività professionale e, quindi, abbia in tal senso profuso ogni possibile sforzo per mantenere un’autonomia reddituale. Questa circostanza non è sufficiente per negare alla donna l’assegno, ma può essere valorizzata in funzione di calibrare la quantificazione dell’assegno, in ragione della possibilità che quell’esperienza professionale, mai interrotta, possa trovare maggior spazio dopo la raggiunta maggior età del figlio e la definitiva recisione del legame coniugale.
Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati richiamano anche alcuni principi. Innanzitutto, quello secondo cui all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. E poi quello secondo cui l’assegno di divorzio presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare. E l’assegno divorzile deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico- patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.