Anomalia e alterazione di facoltà psichiche ed intellettive non bastano per parlare di incapacità naturale del testatore

Necessario, invece, che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi

Anomalia e alterazione di facoltà psichiche ed intellettive non bastano per parlare di incapacità naturale del testatore

L’incapacità naturale del testatore si configura non già quando sussista una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì quando, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Di conseguenza, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dare la prova rigorosa e specifica della dedotta incapacità. Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 9152 del 7 aprile 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’azione con cui due uomini hanno chiesto di vedere dichiarata l’invalidità dei testamenti olografi con cui il loro cugino – vecchio e malato – aveva disposto in favore di una donna attribuendole un legato di immobile e nominandola erede universale. Per dare solidità a tale istanza i due uomini hanno sostenuto che i testamenti erano stati dettati dal notaio alla presenza della beneficiaria e che il loro cugino era incapace, a causa delle sue condizioni di salute. A loro parere, quindi, è evidente l’annullabilità dei testamenti per circonvenzione e induzione in errore da parte della donna e per captazione della volontà testamentaria. A smentire la visione proposta dai due uomini è proprio il notaio, il quale ha ricordato come, in occasione del primo lascito, l’uomo poi deceduto avesse mantenuto ferma la volontà di optare per un legato in favore della donna, nonostante il disappunto da lei mostrato, e come, in occasione del secondo lascito, avesse mostrato di avere ben chiaro quanto accaduto con riguardo al precedente testamento e di intendere modificarlo, sempre in favore della donna, perché lei lo aiutava in casa e lui non aveva parenti vicini con cui intrattenesse rapporti. Impossibile, poi, alla luce della documentazione a disposizione e delle dichiarazioni rese dal medico curante e dal vicino di casa dell’uomo poi deceduto, ipotizzare l’incapacità del testatore. Peraltro, la stessa perizia di parte, messa sul tavolo dai due uomini, non ha affermato in maniera decisa un chiaro stato di incapacità permanente dovuto a infermità psico-fisica dell’uomo poi deceduto, ma semmai una captazione della volontà testamentaria da parte della donna, captazione che però presupponeva di per sé una capacità idonea a fare testamento. Infine, va esclusa, secondo i giudici, anche l’ipotesi dell’errore, anche perché le dichiarazioni rese dall’uomo al notaio denotavano la consapevolezza, da parte sua, dell’esistenza di parenti lontani, che però lo avevano abbandonato, restando la sola donna l’unica meritevole.

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